Un’intervista a Cesare De Padua a partire dalla Marcia su Roma del 28 Ottobre 1922

cousins 5 1

La scena è tratta dal trailer del documentario ‘MARCIA SU ROMA’ di Mark Cousins, uscito pochi giorni fa nelle sale cinematografiche

Il 28 di questo mese cade il centesimo anniversario di un avvenimento simbolo del fascismo. Non abbiamo motivi di festeggiare la ricorrenza, ma forse motivi per utilizzarla come possibilità di (cominciare a) riflettere sul movimento fascista e sul nostro rapporto con la storia locale. Con questa idea ho intervistato Cesare De Padua, autore insieme a Pasquale Giardino di ARIANO. Storia e assetto urbano. La parte pubblicata più recentemente del loro lavoro di ricostruzione ed esposizione della storia di Ariano, il volume III – tomo 1, è del 2018 ed è dedicato a uno spazio di tempo che va dal 1871 al 1946.

Intervistatore: Non serve negarlo, l’attuale congiuntura politica (il risultato elettorale molto favorevole per i partiti di destra spinta, e in particolare per un partito post-fascista) aumenta l’interesse per la marcia su Roma del 1922. Questo evento è per i neofascisti una specie di Natale. Per uno storico invece è un avvenimento che mostra (anche in un certo senso anticipando quanto accaduto successivamente a quell’episodio) come il movimento fascista non incontrò l’opposizione ma piuttosto la compiacenza della classe dirigente italiana, dico bene? Cosa è stata e cosa non è stata la marcia su Roma?

Cesare: La questione non credo sia quella della marcia su Roma, che nel Centenario trova mille rievocazioni che tirano in gioco mille singoli episodi che terminano tutti allo stesso modo. I mille ricostruttori concordano nel ritenere che un minimo di ‘decisione’ da parte delle autorità politiche e militari avrebbero disperso i marciatori.
Il fatto è che le cose non andarono così e trovo un po’ fuori luogo dare la colpa a questo o quel funzionario, a questo o quel ministro o addirittura a tale o tal altro funzionario di polizia o ufficiale dei carabinieri. Le cose non andarono così e la marcia finì col diventare l’evento zero dell’era fascista.
Il problema è: perché le cose andarono così? Perché, in sostanza, avvenne che i ‘decisori’ (in senso larghissimo) lasciarono andare le cose così?
Il movimento di classe italiano era in rinculo e di certo non poteva incutere il terrore di qualche anno prima; il Partito Comunista d’Italia nasceva in ‘questa’ situazione; il Partito socialista rimaneva diviso in correnti che in parte volgevano ai riformisti e in parte ad un massimalismo privo di risolutezza e chiarezza. Era il momento buono per concretizzare la ‘compiacenza’ di cui parli che trasformò una marcetta nella Marcia su Roma. Una compiacenza che veniva da lontano (il 1894 e il 1898, il 1911, il 1914 e il 1915, la lotta di classe dell’immediato dopoguerra). In generale, inoltre, con la necessità di accorpare nella trincea borghese tutte quelle forze in grado di arginare il possible ritorno del pericolo rosso. Sull’argomento si potrebbe e dovrebbe approfondire.

Intervistatore: In apertura alla voce Fascismo del Dizionario Storico-Critico del Marxismo (HKWM), pubblicata nel 1999, si fa presente la discussione controversa riguardo alla definizione di fascismo e si dice che „la molteplicità delle definizioni è dovuta (oltre che alle diversità di posizione dei teorici) al fatto che il fascismo non sia (stato) socialmente e ideologicamente univoco“ (HKWM 4, pag. 148). Nello stesso lemma, poche righe prima viene ricordata una definizione estesa di fascismo formulata da Angelo Tasca per il quale “definire il fascismo è anzitutto scriverne la storia” (A. Tasca, Nascita e avvento del fascismo, vol. 2, Laterza, Bari, 1967, pag. 553). Immagino che tu ti riconosca in questa formulazione. Oltre a questa definizione ampia, quale definizione sintetica di fascismo puoi proporci che possa servirci da orientamento?

Cesare: Più che una definizione sintetica, proporrei dei percorsi. A partire soprattutto dalle due fasi di ‘passaggio’, quella che portò alla dittatura fascista e quella che dal fascismo condusse alla Repubblica. Mi soffermerei, soprattutto in quest’ultimo caso, ad esplorare le discontinuità e le continuità (la ricerca non è complicata dalla difficoltà di reperire testi e fonti, che abbondano, ma dalla necessità di dar loro una costruzione, un’interpretazione, se vuoi).

Intervistatore: Tu e Pasquale Giardino ricostruite la storia locale inscrivendola estesamente nel contesto nazionale ed internazionale. In questa maniera vi sottraete sistematicamente al rischio di trasformare la storia in raccolta di isolati affascinanti aneddoti appartenenti più alla letteratura campanilistica che alla realtà. Nel vostro caso il lettore contemporaneamente alla storia di Ariano che ha comprato legge così una storia (ragionata) d’Italia. Questo rende il libro prezioso, o comunque vantaggioso, ed impegnativo ma non noioso. Di fascismo si tratta diffusamente in tre capitoli (2,3,4) che coprono circa 400 pagine. Avendo letto solo il primo dei capitoli menzionati e sfogliato gli altri due, per ora ho incontrato: la ricostruzione di non proprio ammirevoli lotte locali di potere, la trattazione di impressionanti ricadute e vicende locali della guerra, diversi interventi ironici che esprimono anche il posizionamento morale di voi autori, un certo spazio dedicato anche alle altre realtà della provincia, l’attenzione al ruolo svolto dalla Chiesa. Dal testo si possono imparare precisi fatti, io per esempio non sapevo che a Mussolini nel 1924 ad Ariano fu conferita la cittadinanza onoraria, come del resto in tanti altri Comuni italiani. Ma oltre a questi singoli fatti, cosa si può imparare dalle pagine riguardanti il fascismo? A che serve leggerle? E perché e con quale obiettivo avete scritto il vostro libro?

Cesare: Leggere qualsiasi libro, di per sé, non-serve a niente se non a passare un po’ di tempo. Il problema è quel che si cerca, l’unica cosa che consente di stabilire, poi, se si è perduto tempo a leggere, o se la lettura ha risposto almeno a qualcuna delle aspettative. Credo che questo valga in generale e ancor più per testi che come il nostro sono ‘impegnativi’, se non altro sul piano della mole ( su questo tornerò).
Noi eravamo mossi da una curiosità iniziale molto limitata: partendo dalla constatazione che la nostra città aveva conosciuto, a nostra personale memoria, alcuni stravolgimenti urbanistici che ne avevano stravolto il tessuto, creando, per giunta, problemi alla vivibilità stessa , avevamo pensato ad una mostra che illustrasse tali sconvolgimenti e le origini degli stessi. Era il 2004, ci mettemmo subito all’opera per raccogliere materiali fotografici e documenti che illustrassero i passaggi decisivi della trasformazione. Tuttavia, ben presto l’orizzonte del ‘lavoro’ sui allargò e cronologicamente molte risposte richiedevano di risalire più indietro nel tempo mentre si originava una rete di domande che chiedeva approfondimenti sempre più grandi. Per farla breve, stabilimmo di imbarcarci in un’impresa che andava ben oltre la questione dell’assetto della città, dell’edilizia e della rendita trionfante: una vera e propria storia della città. Una storia, però, che non avesse certi caratteri che le storie locali hanno quasi sempre,  come il campanilismo, naturalmente, ma, soprattutto, il punto di vista, che non poteva essere quello agiografico di chi (ceti, classi, personaggi) aveva guidato la città, scrivendone anche, direttamente o indirettamente, gli eventi, ma quello di chi non l’aveva guidata affatto, anzi subendo (spesso con tacita rassegnazione o addirittura con assenso) scelte , dominio o direzione di chi dirigeva, governava, stabiliva. Sul campanilismo: è una categoria di per sé poco significativa che, però, nasconde l’insidia dell’autorefenzialità, del rinchiudersi in prospettive minute, della coltivazione di un orticello dove difficilmente accadono errori di coltivazione. Non ci interessava. Ci interessava invece collegare sempre la storia locale alla Storia, creare sempre un contesto che consentisse di cogliere lo sfondo grande in cui inserire i fatti locali, i collegamenti fra i due piani, le relazioni spesso strette fra gli stessi. Spero che siamo riusciti a creare questa specie di ‘simbiosi’, ma di certo lo dirà meglio chi legge.
Sul fascismo. Abbiamo dedicato un capitoletto alla Guerra di Libia e uno spazio grandissimo alla prima guerra mondiale, che, secondo noi sono la fucina, l’anticamera del fascismo nostrano e, più ampiamente e relativamente alla Guerra mondiale, della degenerazione dei quadri sociali, economici e politici europei che dalla prima conducono alla seconda Guerra mondiale. Il grande e più recente lavoro di Annibale Cogliano sulla Prima Guerra mondiale credo si muova sulla stessa lunghezza d’onda. In realtà, se è così (credo che lo sia in modo significativo) occorre riandare al fallimento della II Internazionale, inabissatasi nell’oceano della sirena nazionalista, per trovare molte ragioni del ‘disarmo’ del proletariato e di un’adesione forzosa e passiva dello stesso alla Guerra, con tutte le conseguenze che non sto qui a ricordare.

Intervistatore: L’ammirevole lavoraccio di ricostruzione ed esposizione della storia che vi siete presi la briga di fare è il presupposto per l’acquisizione collettiva della storia locale. Da sola però l’esistenza di un libro non implica già l’ef fettiva acquisizione da parte di  altri delle conoscenze, effettive o presunte, che contiene. Quest’ultima richiede, oltre all’atto di scrittura e pubblicazione, atti di lettura. Ma non solo, anche pratiche di diffusione e divulgazione, come articoli, conferenze, film. Una speciale forma di diffusione la rappresenterebbero visite guidate tematiche svolte ad Ariano che a partire dalla lettura del libro sviluppino, e offrano a chi voglia parteciparvi, un itinerario che tocchi le tappe in cui i fatti sono accaduti e mostri i luoghi in cui i rapporti sociali si esprimevano quotidianamente. Prima o poi forse questa idea prenderà corpo, in ogni caso bisognerà prima leggere. Se il libro da una parte per il suo contenuto e per lo stile avvicina e invoglia alla lettura, dall’altra per la mole e la densità delle pagine scoraggia e allontana. Perciò è forse proprio uno di quei libri indicati per regolari iniziative di lettura e discussione collettive. Se un gruppo di persone si incontrasse una volta al mese per leggere insieme o solo discutere poche pagine del vostro libro, in un bar a rotazione, o presso la sede del Centro InformaGiovani, o la sede del Forum dei Giovani di Ariano, o in Biblioteca comunale, o nel Museo civico, sareste disposti a incontrarle, che so, ogni 6 mesi, per confrontarvi con loro e rispondere a domande sorte durante la lettura?

Cesare: Concordo con la prima e con l’ultima parte (quella del confronto è una proposta che mi trova disponibile, anche con la periodicità che proponi).
La parte centrale presenta qualche problematicità organizzativa.
La mole del libro. È innanzitutto una nostra scappatoia per ammortizzare i costi: dell’ultimo tomo avremmo potuto fare due o tre volumi, ma avremmo speso almeno il 20% in più nel primo caso e il 30% nel secondo. Decisamente troppo, se consideriamo che il mattone a 25 euro si mantiene non particolarmente costoso, mentre due mattoncini a 20 euro sarebbero costati al pubblico (e a noi) molto di più. Abbiamo cercato di ovviare, almeno in parte, alla mole, costruendo capitoli che hanno un minimo di autonomia (anche se questa scelta, per funzionare, comporta  nell’insieme qualche ripetizione), consentendo perciò una lettura non necessariamente lineare, ma anche dettata da interessi specifici o fatta di letture scaglionate.

Intervistatore: Grazie!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.